Utilizzando le tecniche di
riserva frazionale bancaria, i Rothschild ed i loro alleati
iniziarono, sin dagli albori del 19mo secolo, a dominare le banche
centrali in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia.
Seconda parte di due
Estratto dal libro del video THE MONEY MASTERS: How International
Bankers Gained Control of America
Pubblicato e riveduto nel 1998 da Royalty Production Company PO Box
114, Piedmont OK 73078, USA
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L’ASCESA DEI ROTHSCHILD
Francoforte, Germania. Nel 1743, cinquant’anni dopo che la Banca
d’Inghilterra aveva aperto i battenti, un orafo di nome Amschel
Moses Bauer inaugurò un conio di monete - un ufficio di contabilità
- e sull’entrata collocò un’insegna rappresentante un’aquila
Romana su uno scudo rosso; il negozio divenne noto come la ditta dello
Scudo Rosso o, in lingua tedesca, Rothschild. Quando il figlio Mayer
Amschel Bauer ereditò l’attività decise di cambiarsi il nome,
assumendo per l’appunto quello di Rothschild.
Mayer Rothschild imparò ben presto che prestare denaro a governi e
monarchi era assai più vantaggioso che farlo nei confronti di singoli
privati; non solo i prestiti erano di maggiore entità, ma venivano
anche assicurati dalle tasse delle varie nazioni.
Mayer Rothschild aveva cinque figli. Egli li addestrò tutti nelle
segrete tecniche di creazione e manipolazione di denaro e quindi li
inviò nelle principali capitali europee per aprire filiali della
banca di famiglia. Le sue volontà stabilirono che uno dei figli di
ogni generazione avrebbe diretto gli affari di famiglia; le donne
erano escluse.
Il primogenito di Mayer, Amschel, rimase a Francoforte per occuparsi
della banca della città natale; il secondogenito, Salomon, fu spedito
a Vienna; il terzo figlio, Nathan, che era chiaramente il più abile,
fu mandato a Londra nel 1798, all’età di 21 anni, un secolo dopo la
fondazione della Banca d’Inghilterra; il quarto figlio, Karl, si recò
a Napoli; il quinto figlio, Jakob (James), andò a Parigi.
Nel 1785 Mayer trasferì l’intera famiglia in un’abitazione più
grande, un edificio a cinque piani condiviso con la famiglia Schiff;
tale edificio era conosciuto col nome di casa dello Scudo Verde. I
Rothschild e gli Schiff avrebbero avuto un ruolo di primaria
importanza nella storia finanziaria dell’Europa, degli Stati Uniti e
del resto del mondo; il nipote di Schiff si trasferì a New York ed
aiutò a finanziare il colpo di stato bolscevico del 1917 in Russia.
I Rothschild si misero in affari con i reali europei a Wilhelmshöhe,
la reggia dell’uomo più ricco della Germania - in effetti il
monarca più ricco di tutta l’Europa - il Principe Guglielmo di
Hesse-Cassel. All’inizio i Rothschild consigliavano Guglielmo
soltanto in merito a speculazioni relative a monete preziose.
Tuttavia, quando Napoleone costrinse il Principe Guglielmo
all’esilio, quest’ultimo inviò a Londra a Nathan Rothschild
550.000 sterline (che all’epoca erano una somma enorme, equivalente
a svariati milioni di dollari del giorno d’oggi) perché fossero
impiegate per acquistare titoli consolidati - obbligazioni o titoli
statali britannici - ma Rothschild utilizzò il denaro per i propri
affari; con Napoleone in giro, le opportunità di investimenti bellici
altamente remunerativi erano pressoché illimitate.
Guglielmo ritornò a Wilhelmshöhe qualche tempo prima della battaglia
di Waterloo del 1815; egli convocò i Rothschild e pretese la
restituzione del suo denaro. I Rothschild restituirono il denaro di
Guglielmo, con l’otto per cento di interesse che i titoli britannici
gli avrebbero fruttato se l’investimento fosse stato effettivamente
fatto; i Rothschild, però, tennero per sé gli ingenti profitti di
guerra che avevano conseguito utilizzando il denaro di Guglielmo -
losca pratica in ogni secolo.
In parte con questi metodi, Nathan Rothschild riuscì a vantarsi, in
seguito, di aver aumentato, in 17 anni trascorsi in Gran Bretagna,
l’originale capitale di 20.000 sterline affidatogli dal padre di
2.500 volte, vale a dire fino a 50.000.000 sterline - una somma
davvero considerevole per quei tempi, comparabile al potere
d’acquisto di miliardi di dollari dei nostri giorni.
Agli inizi del 1817, il ministro del Tesoro Prussiano, nel corso di
una visita a Londra, scrisse che Nathan Rothschild aveva:
...una incredibile influenza su tutte le transazioni finanziarie qui a
Londra. Viene ampiamente affermato...che egli regola completamente il
tasso di cambio nella City. Il suo potere in quanto banchiere è
enorme.
Nel 1818 il segretario del principe austriaco Metternich, scrivendo
dei Rothschild, affermava che:
...essi sono le persone più ricche d’Europa.
Le banche dei Rothschild, cooperando all’interno della famiglia e
utilizzando le tecniche di riserva frazionale bancaria, divennero
incredibilmente ricche. Verso la metà del 1800 essi dominavano tutto
il sistema bancario europeo ed erano sicuramente la famiglia più
ricca del mondo; una considerevole parte della dissoluta nobiltà
europea era fortemente indebitata con loro.
In virtù della loro presenza come banchieri in cinque nazioni, i
Rothschild erano in effetti autonomi, un’entità indipendente dai
paesi nei quali operavano. Se le direttive politiche di una nazione
non favorivano loro o i loro interessi, essi potevano semplicemente
non concedere ulteriori crediti in loco, oppure concederne a quelle
nazioni o gruppi che contrastavano tali direttive. Soltanto loro erano
a conoscenza dei luoghi in cui erano depositate le loro riserve
d’oro e di altro genere, così da essere protetti da confische,
multe, pressioni o tassazioni governative, rendendo così ogni
revisione dei conti o indagine nazionale effettivamente insensata;
soltanto loro erano a conoscenza dell’abbondanza (o della scarsità)
delle proprie riserve frazionali, sparpagliate in cinque nazioni - il
che rappresentava un enorme vantaggio rispetto a semplici banche
nazionali impegnate a costituire una riserva frazionale.
Fu proprio il carattere internazionale delle banche dei Rothschild che
conferì loro dei vantaggi unici sulle banche nazionali e sui governi;
e questo fu esattamente ciò che i legislatori e i parlamenti
nazionali avrebbero dovuto proibire, cosa che però non fecero. Tale
situazione rimane inalterata per quanto riguarda le banche
internazionali o multinazionali proprie dei nostri tempi e costituisce
la forza trainante della globalizzazione - la spinta verso un governo
mondiale.
I Rothschild concessero enormi prestiti per acquisire monopoli in
svariate industrie, garantendo in questo modo la capacità dei
debitori di restituire i prestiti alzando i prezzi senza paura della
concorrenza, incrementando al contempo il potere politico ed economico
dei Rothschild. Essi finanziarono Cecil Rhodes, consentendogli di
instaurare un monopolio sui terreni auriferi del Sudafrica e sui
diamanti DeBeers; in America finanziarono la monopolizzazione delle
ferrovie.
La National City Bank di Cleveland, che nel corso delle udienze
congressuali è stata riconosciuta come una delle tre banche dei
Rothschild negli Stati Uniti, ha fornito a John D. Rockefeller il
capitale per iniziare la sua monopolizzazione nel settore della
raffinazione del petrolio, cosa che ha poi portato alla fondazione
della Standard Oil.
Jacob Schiff, nato nella casa dello Scudo Verde dei Rothschild a
Francoforte e quindi loro agente principale negli Stati Uniti,
consigliò Rockefeller e architettò il famigerato accordo di rimborso
che quest’ultimo richiese segretamente ai petrolieri rivali che
trasportavano per ferrovia. Queste stesse ferrovie erano già state
monopolizzate dal controllo dei Rothschild tramite gli agenti ed
alleati J. P. Morgan e Kuhn, Loeb & Company (Schiff faceva parte
del Consiglio) che, assieme, controllavano il 95% di tutta la
percorrenza delle ferrovie statunitensi.
Nel 1850 si stimò che il capitale di James Rothschild, erede del ramo
francese della famiglia, ammontasse a 600 milioni di franchi francesi
- cioè 150 milioni in più di tutti gli altri banchieri di Francia
messi assieme. James era stato collocato a Parigi da Mayer Amschel nel
1812 con un capitale di 200.000 dollari; all’epoca della sua morte,
nel 1868, cinquantasei anni più tardi, il suo reddito annuale
ammontava a 40.000.000 di dollari. In quel periodo in America non vi
era fortuna che eguagliasse nemmeno il reddito di un solo anno di
James.
Il poeta Heinrich Heine riferendosi a James Rothschild disse:
Il denaro è il dio dei nostri tempi, e Rothschild è il suo profeta.
James costruì la sua favolosa magione, chiamata Ferrières, 19 miglia
a nordest di Parigi. Guglielmo I, vedendola per la prima volta, esclamò:
I Re non possono permettersi una cosa del genere. Può appartenere
solo ad un Rothschild!
Un altro commentatore francese del 19mo secolo la mette in questi
termini:
C’è un unico potere in Europa, ed è quello dei Rothschild.
Non vi è alcun indizio che il ruolo predominante dei Rothschild nella
finanza europea o mondiale sia mutato; al contrario, con l’aumentare
della loro ricchezza, essi hanno semplicemente incrementato la loro
‘passione per l’anonimato’. I loro vasti possedimenti raramente
ne riportano il nome.
Lo scrittore Frederic Morton ha scritto che i Rothschild avevano:
...conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più
durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari...
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8. LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Prendiamo ora in considerazione gli esiti prodotti dalla Banca
d’Inghilterra sull’economia britannica e vediamo come ciò, in
seguito, abbia rappresentato la causa principale della Rivoluzione
Americana.
Verso la metà del 1700, l’Impero Britannico si stava avvicinando
all’apice del suo potere nel mondo. A partire dalla fondazione della
propria banca centrale di proprietà privata, la Gran Bretagna aveva
combattuto quattro guerre in Europa, il cui costo era stato elevato;
per finanziare tali guerre il parlamento inglese, invece di emettere
la propria valuta senza interessi, aveva contratto pesanti debiti con
la banca.
Alla metà del 18mo secolo il debito del governo britannico ammontava
a 140.000.000 di sterline – una somma sbalorditiva per
quell’epoca. Di conseguenza il governo, alfine di pagare gli
interessi alla banca, intraprese un programma di prelievo fiscale
dalle proprie colonie in America.
In America, però, la situazione era diversa. Il flagello di una banca
centrale di proprietà privata non vi era ancora arrivato, sebbene la
Banca d’Inghilterra dal 1694 esercitasse la sua rovinosa influenza
sulle colonie americane. Quattro anni prima, nel 1690, la colonia
della Baia del Massachusetts aveva stampato la propria valuta cartacea
- primo caso in America - seguita nel 1703 dalla South Carolina e
quindi dalle altre colonie.
In quel periodo l’America pre-rivoluzionaria era ancora
relativamente povera. Vi era una grave penuria di monete metalliche
preziose da utilizzare per l’acquisto di beni, così i primi coloni
venivano costretti in misura sempre maggiore a sperimentare la stampa
della propria valuta cartacea locale; alcuni fra questi esperimenti
ebbero successo ed in alcune colonie, come valuta di scambio, venne
usato il tabacco.
Nel 1720, ad ogni Governatore Reale coloniale fu ordinato di limitare
l’emissione di valuta coloniale, tuttavia questo provvedimento venne
largamente disatteso. Nel 1742, il British Resumption Act stabiliva
che le tasse e i debiti di altro genere fossero corrisposti in oro; ciò
provocò una depressione nelle colonie e i ricchi pignorarono,
corrispondendo un decimo del loro valore reale, tutte le proprietà.
Benjamin Franklin fu un grande sostenitore della stampa della propria
valuta cartacea da parte delle colonie; egli, nel 1757, fu inviato a
Londra per rivendicare tale diritto e finì col rimanervi per i
successivi 18 anni - quasi fino all’inizio della Rivoluzione
Americana.
Nell’arco di questo periodo, un numero crescente di colonie
americane ignorò le prescrizioni del Parlamento e cominciò ad
emettere la propria valuta, chiamata ‘buono coloniale’; il
tentativo fu coronato dal successo, con notevoli eccezioni. Il buono
coloniale rappresentava un affidabile mezzo di scambio e, inoltre,
aiutava a suscitare un sentimento di unità fra le colonie. Ricordate
che il buono coloniale era perlopiù valuta cartacea, non gravata da
debiti, stampata nel pubblico interesse e non sostenuta realmente da
riserve d’oro o d’argento; in altri termini, si trattava di moneta
a corso forzoso.
I funzionari della Banca d’Inghilterra chiesero a Franklin in che
modo potesse spiegare la ritrovata prosperità delle colonie ed egli,
senza esitazioni, rispose:
La questione è semplice. Nelle colonie noi emettiamo la nostra
valuta, che si chiama buono coloniale. La emettiamo in quantità
appropriata rispetto alla domanda commerciale e industriale per far sì
che i prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore... In
questo modo, creando per noi stessi la nostra valuta, ne controlliamo
il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno.
Questo per Franklin era semplicemente buonsenso, potete tuttavia
immaginare l’effetto che ebbe sulla Banca d’Inghilterra.
L’America aveva scoperto il segreto del denaro e il genio doveva
tornarsene nella bottiglia il prima possibile. Il risultato fu che il
Parlamento approvò in fretta e furia il Currency Act del 1764,
provvedimento che vietava ai funzionari delle colonie di emettere la
propria valuta e ordinava loro di pagare tutte le tasse a venire con
monete d’oro o d’argento; in altri termini costringeva le colonie
ad adeguarsi agli standard in oro e argento. Questo diede origine alla
prima intensa fase della Prima Guerra Bancaria in America - risoltasi
con la sconfitta dei Cambiavalute - che iniziò con la Dichiarazione
di Indipendenza e si concluse col successivo trattato di pace, il
Trattato di Parigi del 1783.
Per coloro che ritengono che uno standard in oro sia la soluzione
degli attuali problemi monetari americani, consideriamo quello che
accadde in America dopo l’approvazione del Currency Act del 1764.
Franklin, nella sua autobiografia, scrisse:
Nel giro di un anno la situazione si era rovesciata al punto che
l’era di prosperità era terminata lasciando il posto alla
depressione, in misura tale che le strade delle Colonie traboccavano
di disoccupati.
Franklin afferma che ciò costituì anche la causa principale della
Rivoluzione Americana; sempre dalla sua autobiografia:
Le Colonie avrebbero sopportato di buon grado la ridotta tassa sul tè
ed altre materie, se l’Inghilterra non avesse tolto alle Colonie
stesse la loro valuta, creando così disoccupazione e malcontento.
Nel 1774, il Parlamento approvò lo Stamp Act, il quale prescriveva
l’apposizione, su ogni atto commerciale, di un bollo che attestasse
il pagamento di una tassa in oro - cosa che ancora una volta
minacciava la valuta cartacea coloniale; meno di due settimane più
tardi, il Massachusetts Committee of Safety promulgò una risoluzione
a favore dell’emissione di ulteriore valuta coloniale e di
riconoscimento della valuta delle altre colonie.
Il 10 e il 22 giugno 1775, il Congresso delle Colonie decise
l’emissione di 2 milioni di dollari in valuta cartacea in base al
credito e alla fiducia delle “Colonie Unite”. Tale decisione
disobbediva alla Banca d’Inghilterra e al Parlamento e rappresentò
un atto di sfida, il rifiuto di accettare un sistema monetario
ingiusto nei confronti degli abitanti delle colonie.
Così gli attestati di credito (cioè la valuta cartacea) che gli
storici ignoranti o prevenuti hanno sminuito considerandoli strumenti
di una politica finanziaria incosciente, erano in effetti i principi
della Rivoluzione; anzi, erano più di questo: erano la Rivoluzione
stessa.
- Alexander Del Mar, storico
Quando, il 19 aprile 1775, furono sparati i primi colpi a Concord e
Lexington, Massachusetts, le colonie erano state prosciugate
dell’oro e dell’argento dalla tassazione britannica; come
risultato, il governo continentale per finanziare la guerra non ebbe
altra scelta se non quella di stampare la propria valuta cartacea.
All’inizio della Rivoluzione la fornitura di denaro coloniale
americano si attestava intorno ai 12 milioni di dollari; alla fine
della guerra raggiunse quasi i 500 milioni. Questo fu in parte dovuto
ad una massiccia contraffazione britannica il cui esito fu di rendere
la valuta virtualmente senza valore; un paio di scarpe costava 5.000
dollari. Come lamentava George Washington:
Un vagone carico di denaro riuscirà a fatica ad acquistare un vagone
carico di approvvigionamenti.
In precedenza il buono coloniale aveva funzionato in quanto veniva
emessa una quantità di valuta appena sufficiente a facilitare il
commercio, mentre la contraffazione era irrisoria. Oggi, coloro che
sostengono una valuta basata sulle riserve d’oro, indicano questo
periodo della Rivoluzione per dimostrare gli svantaggi di una moneta a
corso forzoso. Ricordate, comunque, che quella stessa valuta, in
precedenza, aveva funzionato così bene vent’anni prima in tempo di
pace che la Banca d’Inghilterra l’aveva fatta rendere illegale dal
Parlamento e che, durante la guerra, gli Inglesi cercarono
deliberatamente di scalzarla contraffacendola in Inghilterra e
spedendola ‘a balle’ nelle colonie. |
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9. LA BANCA DEL NORD AMERICA
Verso la fine della Rivoluzione, il Congresso continentale, riunitosi
presso l’Indipendence Hall di Filadelfia, si trovò ad avere un
bisogno disperato di fondi. Nel 1781 essi permisero a Robert Morris,
loro Soprintendente Finanziario, di aprire una banca centrale di
proprietà privata, nella speranza che la cosa potesse essere di
qualche utilità. Fra parentesi Morris era un benestante il quale,
commerciando in materiale bellico durante la Rivoluzione, si era
ulteriormente arricchito.
La nuova banca, la Bank of North America, ricalcava da vicino il
modello della Banca d’Inghilterra; ad essa venne consentita (o,
piuttosto, non venne proibita) la pratica della riserva frazionale
bancaria, ovvero poteva prestare denaro che non aveva e quindi
applicare su di esso gli interessi. Se io o voi facessimo una cosa del
genere saremmo accusati di frode - cioè di un crimine. A
quell’epoca ben pochi compresero tale pratica e, naturalmente, essa
venne tenuta nascosta il più possibile al pubblico e ai politici; per
di più alla banca fu assegnato il monopolio di emettere banconote,
accettabili per il pagamento delle tasse.
Lo statuto della banca richiedeva la costituzione di un capitale
iniziale di 400.000 dollari versati da investitori privati. Quando però
Morris si rivelò incapace di trovare il denaro, egli utilizzò
sfacciatamente la sua influenza politica per ottenere che venisse
depositato dell’oro nella sua banca - oro che era stato prestato
all’America dalla Francia. Egli prestò a sé stesso e ai suoi amici
questo denaro per reinvestirlo nelle azioni della banca; la Seconda
Guerra Bancaria Americana era iniziata.
Presto i pericoli diventarono evidenti. Il valore della valuta
americana continuò a precipitare e quattro anni più tardi, nel 1785,
il documento di concessione della banca non venne riconfermato,
mettendo fine alla minaccia dello strapotere della banca stessa; così
la Seconda Guerra Bancaria Americana si risolse velocemente in una
sconfitta dei Cambiavalute.
Il leader di questo efficace sforzo per affossare la banca fu un
patriota di nome William Findley, della Pennsylvania, che spiegò il
problema nel modo seguente:
Questa istituzione, non avendo altro principio che la cupidigia, non
cambierà mai i propri obiettivi...monopolizzare tutta la ricchezza,
il potere e l’influenza dello stato.
La plutocrazia, una volta attestatasi, avrebbe corrotto la legislatura
in modo che le leggi sarebbero state formulate a suo vantaggio e
l’amministrazione della giustizia avrebbe favorito i ricchi.
Gli uomini dietro alla Banca del Nord America - Alexander Hamilton,
Robert Morris ed il Presidente della Banca, Thomas Willing - non si
diedero per vinti. Solo sei anni più tardi Hamilton, all’epoca
Ministro del Tesoro, ed il suo mentore Morris, tramite il nuovo
Congresso fondarono una nuova banca centrale di proprietà privata, la
Prima Banca degli Stati Uniti; Thomas Willing, ancora una volta, ne
rivestì il ruolo di Presidente. I giocatori erano gli stessi,
soltanto il nome della banca era cambiato.
10. L’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Nel 1787 i leader coloniali si riunirono a Filadelfia per cambiare i
nefasti Articoli della Confederazione. Come abbiamo visto in
precedenza, sia Thomas Jefferson che James Madison erano fermamente
contrari ad una banca centrale di proprietà privata; avevano visto i
problemi causati dalla Banca d’Inghilterra e non volevano niente del
genere. Come Jefferson sostenne in seguito:
Se il popolo americano permetterà mai che banche private controllino
l’emissione della sua valuta, le banche e le corporazioni che
prolificano intorno ad esse, prima tramite l’inflazione e poi
tramite la deflazione, priveranno il popolo di tutte le sue proprietà
fino al momento in cui i figli si ritroveranno senza tetto nel
continente conquistato dai padri.
Nel corso del dibattito sul futuro sistema monetario, un altro dei
padri fondatori, Gouvenor Morris, presiedeva il comitato che stese la
bozza finale della Costituzione; Morris conosceva bene le ragioni dei
banchieri.
Insieme al suo vecchio capo, Robert Morris, Gouvenor Morris e
Alexander Hamilton erano quelli che avevano presentato il progetto
originale della Banca del Nord America al Congresso continentale
tenutosi durante l’ultimo anno della Rivoluzione.
Gouvenor Morris, in una lettera scritta a James Madison in data 2
luglio 1787, rivelava ciò che stava accadendo in realtà:
I ricchi lotteranno per affermare il proprio dominio e conquistare il
resto. Lo hanno sempre fatto e sempre lo faranno... Essi avranno qui
gli stessi effetti che altrove se noi, tramite il potere del governo,
non li circoscriveremo ai loro ambiti specifici.
Nonostante la defezione di Gouvenor Morris dai ranghi dei banchieri,
Hamilton, Robert Morris, Thomas Willing e i loro sostenitori europei
non avrebbero abbandonato i loro propositi; essi convinsero il grosso
dei delegati dell’Assemblea Costituente di non accordare al
Congresso il potere di emettere valuta cartacea. La maggior parte dei
delegati era ancora scossa dalla selvaggia inflazione della valuta
cartacea verificatasi nel corso della Rivoluzione ed essi avevano
dimenticato come aveva egregiamente funzionato il buono coloniale
prima della guerra. La Banca d’Inghilterra invece no; i Cambiavalute
non potevano permettere che l’America stampasse di nuovo la propria
moneta.
Molti ritenevano che il Decimo Emendamento, il quale riservava dei
poteri agli stati che non erano ammessi dalla Costituzione al governo
federale, rendesse incostituzionale l’emissione di valuta cartacea
da parte del governo federale, in quanto il potere di emettere valuta
cartacea nella Costituzione non era specificatamente affidato al
governo federale stesso. La Costituzione a questo proposito non si
pronuncia; essa, tuttavia, proibiva in modo specifico ai singoli Stati
di “emettere certificati di credito” (valuta cartacea).
La maggior parte degli artefici intendeva il silenzio della
Costituzione nel senso di impedire al nuovo governo federale di avere
il potere di autorizzare la creazione di valuta cartacea; infatti, il
Giornale dell’Assemblea del 16 agosto recita così:
É stato proposto ed appoggiato di cancellare le parole ‘ed emettere
certificati di credito’ e la mozione...é passata con risposta
affermativa.
Tuttavia Hamilton e i suoi amici banchieri videro questo silenzio come
l’opportunità di tenere il governo fuori dalla creazione della
valuta cartacea, che speravano di monopolizzare privatamente. Così
sia i delegati a favore che quelli contrari ai banchieri, con
motivazioni opposte, appoggiarono, con uno scarto di quattro a uno, la
mozione per lasciare fuori dalla Costituzione qualsiasi autorità del
governo federale relativa alla creazione di valuta cartacea. Questa
ambiguità lasciò la porta aperta ai Cambiavalute - proprio come essi
avevano pianificato.
Naturalmente la carta moneta non rappresentava di per sé il problema
principale. Il problema più rilevante era il prestito di riserva
frazionale, poiché esso moltiplicava per molte volte qualsiasi
inflazione causata da una eccessiva emissione di valuta cartacea;
questo, tuttavia, non veniva compreso da molti, laddove le ricadute
negative causate da una smodata produzione di valuta invece lo erano.
Gli estensori, relativamente alla loro convinzione che proibire la
valuta cartacea fosse un buon fine da perseguire, furono ben
consigliati. La proibizione di tutta la valuta cartacea avrebbe
fortemente limitato la riserva frazionale bancaria allora praticata,
poiché l’uso di assegni era minimo e si può presumere che sarebbe
stato proibito anch’esso. I prestiti bancari però, creati come
registri, non furono presi in considerazione e quindi non vennero
proibiti.
Nel momento in cui si verificò tale situazione, i governi statale e
federale furono largamente intesi come non autorizzati a creare
denaro, al contrario delle banche private - sostenendo che tale
potere, non essendo specificamente vietato, veniva riservato ai
cittadini (incluse persone giuridiche, quali banche società per
azioni).
Il ragionamento opposto affermava che le corporazioni bancarie erano
strumenti o agenzie degli stati che le ospitavano e quindi doveva
essere loro negato di “emettere attestati di credito”, così come
accadeva per gli stati stessi. Tale ragionamento venne ignorato dai
banchieri, i quali proseguirono a emettere banconote basate sulle
riserve frazionali, e perse tutta la sua forza una volta che la Corte
Suprema degli Stati Uniti stabilì che anche il governo federale
avrebbe potuto concedere uno statuto ad una banca abilitata ad
emettere valuta. Alla fine solo agli stati venne proibito di emettere
valuta, cosa che invece non fu negata né alle banche private né ai
Comuni (come accadde in circa 400 città durante la Grande
Depressione).
Un altro errore che spesso non viene compreso riguarda l’autorità
concessa al governo federale di “coniare monete” e di
“regolamentarne il valore”. Regolamentare il valore della moneta
(vale a dire il suo potere d’acquisto o valore relativo ad altri
parametri o beni) non ha niente a che fare con la qualità o il
contenuto (cioè un tot di parti di rame o di oro etc.) bensì con la
sua quantità - la riserva di denaro; è la quantità a determinarne
il valore ed il Congresso non ha mai legiferato sulla quantità totale
di denaro negli Stati Uniti.
Una legislazione su una fornitura generale di denaro (compresi
assegni, valuta e tutti i depositi bancari) in effetti
regolamenterebbe il valore (potere d’acquisto) di ogni dollaro e
quindi una legislazione relativa al tasso di crescita della riserva
monetaria ne determinerebbe il valore futuro. Il Congresso non ha mai
legiferato in nessuno di questi due ambiti, sebbene disponga
chiaramente dell’autorità costituzionale per farlo; esso ha rimesso
questa funzione alla Federal Reserve e alle 10.000 e più banche che
creano le nostre riserve monetarie.
11. LA PRIMA BANCA DEGLI STATI UNITI
Nel 1790, meno di tre anni dopo che la Costituzione era stata
ratificata, i Cambiavalute colpirono di nuovo. Il Ministro del Tesoro
appena nominato, Alexander Hamilton, propose al Congresso un progetto
di legge che prevedeva la fondazione di una nuova banca centrale di
proprietà privata.
Stranamente era lo stesso anno in cui Mayer Rothschild dalla sua banca
ammiraglia di Francoforte fece la seguente dichiarazione:
Lasciate che io emetta e controlli il denaro di una nazione e non mi
interesserò di chi ne formula le leggi.
Alexander Hamilton era uno strumento dei banchieri internazionali;
egli voleva creare un’altra banca centrale privata, la Banca degli
Stati Uniti, e così fece; convinse Washington a firmare il progetto
di legge, nonostante le riserve dello stesso Washington e
l’opposizione di Jefferson e Madison.
Per convincere Washington, Hamilton accampò la motivazione dei
“poteri implicati”, da allora così spesso utilizzata per svuotare
la Costituzione del suo contenuto.
Jefferson predisse correttamente le disastrose conseguenze dovute
all’apertura di un tale vaso di Pandora, che avrebbe permesso ai
giudici di “implicare” qualsiasi cosa andasse loro a genio.
Risulta interessante il fatto che uno dei primi lavori di Hamilton
dopo il conseguimento, nel 1782, della laurea in giurisprudenza, fu
quello di consigliere di Robert Morris, capo della Banca del Nord
America. In effetti Hamilton, l’anno precedente, aveva scritto a
Morris una lettera in cui diceva:
Un debito nazionale, se non è eccessivo, sarà una benedizione
nazionale.
Una “benedizione” per chi?
Nel 1791, dopo un anno di intenso dibattito, il Congresso approvò il
progetto di legge di Hamilton e gli conferì uno statuto ventennale;
la nuova banca si sarebbe chiamata First Bank of the United States
(Prima Banca degli Stati Uniti), o BUS; così iniziò la Terza Guerra
Bancaria Americana.
La sede centrale della Prima Banca degli Stati Uniti si trovava a
Filadelfia. La banca fu autorizzata a stampare denaro e a concedere
prestiti sulla base delle riserve frazionali, anche se l’ottanta per
cento delle sue azioni era di proprietà di azionisti privati; il
restante 20% sarebbe stato acquistato dal Governo degli Stati Uniti,
ma la ragione non era quella di dare al governo una parte nella
faccenda: si trattava di fornire il capitale iniziale dell’ottanta
per cento agli altri possessori .
Così come per la Banca del Nord America e la Banca d’Inghilterra
prima di allora, gli azionisti non pagarono mai l’ammontare
complessivo delle loro azioni; il Governo degli Stati Uniti corrispose
i suoi iniziali 2.000.000 di dollari in contanti e poi la banca,
tramite l’antica magia del prestito sulla base delle riserve
frazionali, concesse prestiti ai suoi investitori statutari in modo
che essi potessero disporre dei rimanenti 8.000.000 di dollari di
capitale necessari per questo investimento esente da rischi.
Come per la Banca d’Inghilterra, il nome della banca - la Banca
degli Stati Uniti - fu scelto deliberatamente per occultare il fatto
che era controllata da privati e, sempre come nel caso della Banca
d’Inghilterra, i nomi degli investitori non furono mai resi noti.
La banca fu presentata al Congresso come un mezzo per garantire
stabilità al sistema bancario e per eliminare l’inflazione. Cosa
accadde? Nel corso dei primi cinque anni di attività, il Governo
degli Stati Uniti prese a prestito dalla Prima Banca degli Stati Uniti
8,2 milioni di dollari; in quel periodo i prezzi lievitarono del 72%.
Jefferson, nuovo Segretario di Stato, assistette a tale evento con
tristezza e frustrazione, incapace di fermarlo:
Vorrei che fosse possibile ottenere un singolo emendamento alla nostra
Costituzione, che impedisse al governo federale di prendere denaro in
prestito.
Il Presidente Adams denunciò l’emissione di banconote private come
una frode a scapito del pubblico e, in questa ottica, era sostenuto da
tutta l’opinione pubblica conservatrice del suo tempo. Perché
continuare a dare in appalto a banche private, in cambio di nulla, una
prerogativa del governo?
Milioni di americani oggi provano la stessa sensazione; essi
osservano, frustrati, mentre il governo federale porta il contribuente
americano nell’oblio - prendendo a prestito da ricchi e banche
private quel denaro che il governo ha l’autorità e il dovere di
emettere da sé, senza interessi.
Così, sebbene si chiamasse la Prima Banca degli Stati Uniti, non si
trattava del primo tentativo di fondare una banca centrale di proprietà
privata negli USA. Così come per le altre due, la Banca
d’Inghilterra e la Banca del Nord America, il governo fornì il
capitale per avviare questa banca privata e quindi i banchieri si
prestarono l’un l’altro il denaro per acquistare le rimanenti
azioni della banca stessa.
Si trattò di una truffa, pura e semplice - ed essi non sarebbero
stati in grado di protrarla a lungo.
12. L’ASCESA AL POTERE DI NAPOLEONE IN FRANCIA
Ora dobbiamo ritornare in Europa per vedere come un singolo individuo
fu in grado di manipolare l’intera economia britannica ottenendo le
prime notizie della sconfitta finale di Napoleone.
Nel 1800 a Parigi la Banca di Francia era organizzata secondo schemi
simili a quelli della Banca d’Inghilterra. Napoleone, però, decise
che la Francia doveva liberarsi dei propri debiti; egli non si fidò
mai della Banca di Francia, anche quando collocò alcuni dei suoi
parenti nel consiglio direttivo.
Napoleone dichiarò che quando un governo dipende dai banchieri per
ottenere del denaro, i banchieri - e non i rappresentanti del governo
- detengono il controllo:
La mano che dà sta sopra quella che prende. Il denaro non ha patria;
i finanzieri non hanno né decenza né patriottismo: il loro unico
scopo è il guadagno.
Egli intuì chiaramente i pericoli ma non intravide le appropriate
contromisure o soluzioni.
Tornando in America, l’aiuto inatteso stava per giungere. Nel 1800
Thomas Jefferson sconfisse di stretta misura John Adams nella corsa
alla terza presidenza degli Stati Uniti e, nel 1803, Jefferson e
Napoleone avevano stipulato un accordo, secondo il quale gli USA
avrebbero pagato 3.000.000 di dollari in oro in cambio di un vasto
territorio ad ovest del fiume Mississippi; l’acquisto della
Louisiana.
Con quei tre milioni di dollari in oro, Napoleone mise velocemente in
piedi un esercito e iniziò a scorrazzare in Europa, conquistando
tutto ciò che trovava sul suo cammino. Tuttavia l’Inghilterra e la
Banca d’Inghilterra si apprestarono in fretta ad opporglisi e
finanziarono ogni nazione sul suo cammino, raccogliendo gli enormi
profitti di guerra; la Prussia, l’Austria ed infine la Russia si
indebitarono pesantemente nel futile tentativo di fermare Napoleone.
Quattro anni più tardi, mentre il grosso dell’esercito francese si
trovava in Russia, il trentenne Nathan Rothschild - direttore
dell’ufficio londinese della propria famiglia - si incaricò
personalmente di un ardito piano per contrabbandare una spedizione
assai necessaria di oro proprio attraverso la Francia, il cui scopo
era finanziare un attacco dalla Spagna da parte del britannico Duca di
Wellington.
Nathan in seguito nel corso di una cena con amici si vantò del fatto
che quello era il migliore affare che avesse mai fatto. Egli guadagnò
denaro per ogni fase della spedizione; non sapeva ancora che nel
prossimo futuro avrebbe fatto di meglio.
Gli attacchi di Wellington da sud ed altre sconfitte alla fine
costrinsero Napoleone ad abdicare; Luigi XVIII fu incoronato Re e
Napoleone esiliato nell’isola d’Elba, presumibilmente per sempre.
13. LA FINE DELLA PRIMA BANCA DEGLI STATI UNITI E LA GUERRA DEL
1812
Mentre Napoleone si trovava in esilio, temporaneamente sconfitto
dall’Inghilterra con l’aiuto finanziario dei Rothschild, anche
l’America stava cercando di liberarsi della propria banca centrale.
Nel 1811 fu presentato al Congresso un progetto di legge per rinnovare
lo statuto della Banca degli Stati Uniti; il dibattito divenne
incandescente ed entrambi i corpi legislativi della Pennsylvania e
della Virginia avanzarono delle mozioni che richiedevano al Congresso
di porre fine alla vita della banca.
Gli uffici stampa dell’epoca attaccarono apertamente la banca,
definendola “una grande truffa”, un “avvoltoio”, una
“vipera” e un “cobra”; ah, se avessimo di nuovo una stampa
indipendente in America!
Un congressista di nome P. B. Porter attaccò la banca dal pavimento
del Congresso, avvertendo profeticamente che, se lo statuto della
banca fosse stato rinnovato, il Congresso “avrà allevato nel seno
di questa Costituzione una vipera che un giorno o l’altro colpirà
al cuore le libertà di questa nazione”.
Le prospettive per la banca non erano delle più rosee. Alcuni
scrittori hanno affermato che Nathan Rothschild avvertì che se lo
statuto della banca non fosse stato rinnovato, gli Stati Uniti si
sarebbero trovati coinvolti in una guerra tra le più disastrose;
questo però non fu sufficiente.
Una volta che il fumo si era disperso, il progetto di rinnovamento fu
sconfitto alla Camera da un solo voto e si arrestò al Senato.
All’epoca alla Casa Bianca c’era James Madison, quarto Presidente
degli Stati Uniti, il quale - ricorderete - era un convinto avversario
della banca. Il suo Vice Presidente, George Clinton, ruppe un legame
in Senato e consegnò la Prima Banca degli Stati Uniti - la seconda
banca centrale di proprietà privata in territorio americano -
all’oblio. Così la Terza Guerra Bancaria Americana, durata
vent’anni, si concluse con la sconfitta dei Cambiavalute.
Nel giro di cinque mesi, così come si dice avesse predicato
Rothschild, L’Inghilterra attaccò gli Stati Uniti ed iniziò la
guerra del 1812 la quale, essendo gli Inglesi ancora impegnati a
combattere Napoleone, terminò nel 1814 senza vincitori né vinti.
Risulta interessante notare che, nel corso di questa guerra, la
Tesoreria degli USA stampò una certa quantità di valuta cartacea
governativa per finanziare lo sforzo bellico - evento che non si
sarebbe più ripetuto fino alla Guerra Civile.
Sebbene i Cambiavalute fossero temporaneamente sconfitti, non stavano
comunque con le mani in mano; sarebbero bastati loro soltanto altri
due anni per presentare una quarta banca centrale privata, più grande
e più forte di quella precedente.
14. 1815: LA BATTAGLIA DI WATERLOO
Torniamo ora per un momento a Napoleone. Questo episodio dimostra
appropriatamente la furbizia della famiglia Rothschild
nell’acquisizione del controllo del mercato azionario inglese dopo
Waterloo.
Nel 1815, un anno dopo la fine della guerra del 1812, Napoleone fuggì
dal proprio esilio e ritornò a Parigi. Delle truppe francesi furono
inviate a catturarlo, ma il suo carisma era tale che i soldati
accorsero in aiuto del loro vecchio comandante e lo acclamarono di
nuovo come loro Imperatore; Napoleone tornò a Parigi come un eroe. Re
Luigi scappò in esilio e Napoleone ascese nuovamente al trono di
Francia – stavolta senza che venisse sparato nemmeno un colpo.
Nel marzo del 1815, Napoleone mise in piedi un esercito che
l’inglese Duca di Wellington sconfisse meno di 90 giorni più tardi
a Waterloo. Egli prese a prestito cinque milioni di sterline dalla
banca Ouvard di Parigi per riarmare le truppe; nondimeno, da allora in
avanti, non fu più inusuale che banche centrali a controllo privato
in una guerra finanziassero entrambi i contendenti.
Perché una banca centrale in una guerra dovrebbe finanziare i fronti
opposti? Perché la guerra è il più grande generatore di debiti in
assoluto. Una nazione per vincere prenderà a prestito qualsiasi
somma. Al perdente finale viene prestato solo quel tanto sufficiente a
conservare una vaga speranza di vittoria, mentre al vincitore finale
viene dato quanto basta a vincere. Oltre a ciò, i prestiti di questo
tipo vengono normalmente concessi con la garanzia che il vincitore
onorerà i debiti dello sconfitto; solo i banchieri non possono
perdere.
Il luogo della battaglia di Waterloo si trova a circa 200 miglia a
nordest di Parigi, nell’attuale Belgio; lì Napoleone subì la sua
ultima sconfitta, tuttavia non prima che migliaia di francesi e
inglesi perdessero le proprie vite in un umido mattino del giugno del
1815.
Quel giorno, il 18 giugno, 74.000 soldati francesi si scontrarono con
67.000 soldati britannici e di altre nazioni europee; l’esito era
sicuramente incerto e, in effetti, se Napoleone avesse attaccato
qualche ora prima, probabilmente avrebbe vinto la battaglia.
Tuttavia, indipendentemente da chi fossero i vincitori e i perdenti,
Nathan Rothschild di ritorno a Londra utilizzò l’opportunità di
acquisire il controllo del mercato azionario britannico; i Rothschild
contestano aspramente il resoconto che segue.
Rothschild piazzò sul lato nord del campo di battaglia, vicino alla
Manica, un agente fidato, tale Rothworth. Una volta che l’esito
della battaglia fu deciso, Rothworth si diresse verso la Manica e
diede a Nathan Rothschild le notizie fresche ventiquattr’ore prima
del corriere personale di Wellington.
Rothschild si recò velocemente alla Borsa e occupò il suo posto
usuale di fronte a un’antica colonna; tutti gli occhi erano su di
lui. I Rothschild disponevano di una leggendaria rete di
comunicazione. Se Wellington era stato sconfitto e Napoleone di nuovo
in giro per il continente, la situazione finanziaria britannica
avrebbe preso certamente una pessima piega. Rothschild appariva
affranto, se ne stava immobile, gli occhi rivolti a terra. Poi,
improvvisamente, iniziò a vendere.
Gli altri nervosi investitori videro che Rothschild stava vendendo;
questo poteva significare solo una cosa: Napoleone doveva aver vinto e
Wellington doveva essere stato sconfitto. La Borsa andò a picco. Ben
presto tutti si trovarono a vendere i propri titoli consolidati -
obbligazioni del governo inglese ed altre azioni - e i prezzi
calarono. Poi Rothschild ed i suoi alleati finanziari iniziarono
segretamente a comprare tramite i propri agenti.
Pensate che si tratti di un mito, di una leggenda? Un centinaio di
anni dopo, il New York Times riportò la notizia secondo cui il nipote
di Nathan Rothschild aveva tentato di procurarsi la sentenza di una
corte per eliminare un libro contenente questa vicenda della Borsa; la
famiglia Rothschild dichiarò che questa storia era falsa e
diffamatoria, tuttavia la corte respinse la richiesta dei Rothschild
ed ingiunse alla famiglia di pagare tutte le spese processuali.
Quello che risulta ancora più interessante di tutta questa faccenda,
è che alcuni autori affermano che il giorno dopo la battaglia di
Waterloo, nel giro di poche ore, Nathan Rothschild ed i suoi alleati
finanziari acquisirono il dominio non solo del mercato azionario ma
anche della Banca d’Inghilterra. (Una caratteristica interessante di
alcuni titoli consolidati era che potevano essere convertiti in azioni
della Banca d’Inghilterra)
L’apparentamento con i Montefiore, i Cohen e i Goldsmith - dinastie
bancarie stabilitesi in Inghilterra un secolo prima dei Rothschild -
aumentò il controllo finanziario dei Rothschild; tale controllo venne
ulteriormente consolidato tramite l’approvazione del Peel’s Bank
Charter Act del 1844.
Che la famiglia Rothschild e relativi alleati finanziari abbiano
acquisito o meno il completo controllo della Banca d’Inghilterra (la
prima e più ricca banca centrale di proprietà privata in una
importante nazione europea) in questo modo, una cosa è certa: verso
la metà del 1800 i Rothschild erano la famiglia più ricca del mondo,
nessuno eccettuato. Essi dominavano i mercati delle nuove obbligazioni
statali e aprirono filiali presso altre banche e imprese industriali
in tutto il mondo; inoltre dominavano una costellazione di famiglie
secondarie meno influenti, come i Warburg e gli Schiff, che
accomunarono la loro vasta ricchezza a quella dei Rothschild.
Infatti la seconda metà del 19mo secolo fu nota col nome di “Era di
Rothschild”. Lo scrittore Ignatius Balla stimò che la loro
ricchezza personale nel 1913 ammontasse ad oltre due miliardi di
dollari. Ricordate che il potere d’acquisto del dollaro era maggiore
di più del 1.000 per cento rispetto ad oggi. Nonostante questa
schiacciante ricchezza, la famiglia in genere ha coltivato un’aura
di invisibilità e sebbene essa controlli gli introiti di società
bancarie, industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una
manciata di esse porta il loro nome. Alla fine del 19mo secolo un
esperto stimò che la famiglia Rothschild controllasse la metà della
ricchezza mondiale.
Qualunque sia l’entità della loro vasta ricchezza, è ragionevole
presumere che la loro percentuale della ricchezza mondiale da allora
sia aumentata spettacolarmente, poiché il potere persegue il potere
ed il desiderio di esso.
Tuttavia con l’arrivo di questo secolo, i Rothschild hanno
attentamente coltivato la nozione che il loro potere sia in qualche
modo diminuito, anche se la loro ricchezza e quella dei loro alleati
finanziari aumenta in concomitanza con il loro controllo di banche,
società indebitate, media, politici e nazioni, il tutto tramite
delegati, agenti, candidati e consigli di amministrazione
interconnessi, che mantengono il loro ruolo nell’ombra.
Note sull’Autore:
Patrick S. J. Carmack, BBA, JD, si è occupato di diritto societario
ed è un ex Giudice Amministrativo della Corporation Commission dello
Stato dell’Oklahoma così come membro del tribunale della Corte
Suprema. Egli è coautore del video in due puntate The Money Masters:
How International Bankers Gained Control of America.
Nota dell’Editore
Il presente articolo è stato tratto su licenza dal libro riveduto ed
aggiornato del video The Money Masters: How International Bankers
Gained Control of America, prodotto da Patrick S. J. Carmack per la
Royalty Production Company, Colorado, USA, © 1998.
La lista dei testi che accompagna questo articolo si può trovare
presso il sito web <www.themoneymasters.com>.
Il libro e il video di Money Masters sono disponibili presso: Royalty
Production Company, 5149 Picket Drive, Colorado Springs, CO 80907,
USA, tel (719) 520 7264, fax (719) 599 4587,
<www.themoneymasters.com>.
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Fonte: Rivista NEXUS
n. 23
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