Gli attori delle diverse congiure contro
il Duce riflettevano la frantumazione del fronte antifascista e ne
rivelarono tutta l’impotenza. Ma se poterono agire e preoccupare
Mussolini, al punto da "costringerlo" ad armarsi fino ai denti per
difendersi, ciò fu grazie al contributo di potenze straniere. La
massoneria internazionale e ampi settori rappresentativi delle èlite
governative europee, come quelle di Francia e Inghilterra, fornirono non
solo copertura, ma anche indirizzi decisivi ai complotti antifascisti.
La "longa manus" di entità e interessi extranazionali, poté assegnare a
tali iniziative quel valore aggiunto che esse non potevano ricevere da
sole forze interne. I complotti, dunque, furono "interni-esterni" e non
soltanto riconducibili a una matrice nazionale.
Ecco perché, Mussolini costruì un potente apparato di repressione
politica, l’Ovra, che agiva sul duplice fronte interno e internazionale,
con interessanti e ancora poco esplorati intrecci tra gli elementi
fiduciari italiani e quelli esteri, tra la rete interna e quella che
operava fuori dei confini nazionali. Tra i documenti che aveva
selezionato prima della sua partenza per l’ultimo viaggio, e che gli
furono sequestrati a Dongo, Mussolini aveva incluso un fascicolo che
faceva parte della sezione "Complotti" dell’archivio della Segreteria
particolare del Duce.
È assai significativo che il capo del fascismo desiderasse dimostrare
proprio questo: e cioè che l’instaurazione della dittatura fu il
risultato di uno stato di necessità imposto dagli eventi.
Nella nutrita scelta di dossier di Stato, Mussolini, ormai braccato,
incluse documentazione sulla fallita congiura degli "Amici del Popolo",
un’organizzazione segreta che tramò nell’ombra, proprio durante il
fatale 1924, per ucciderlo con un veleno. L’episodio non è mai stato
oggetto di approfondimento come avrebbe invece meritato ed è rimasto
avvolto in un cono d’ombra: uno dei tanti "buchi neri" della
storiografia contemporanea. Qualora si fosse indagato con maggiore cura,
si sarebbe per esempio potuto scoprire che si trattava del piano di un
vero e proprio "colpo di Stato": un complotto a regia massonica, ma con
innervazione di forze anarco-comuniste (provenienti in larga parte dagli
ex "Arditi del Popolo") alle quali erano affidati la conquista dei
centri del potere tecnologico e il totale controllo della città di Roma.
Il complotto degli "Amici del Popolo" rappresentò forse il più
pericoloso tentativo di scalzare Mussolini dal potere, in quanto entrò
nella fase operativa nel periodo immediatamente successivo all’omicidio
Matteotti, durante il quale una destabilizzazione del governo fascista
fu realmente possibile. Il "golpe" massonico-comunista era infatti volto
non soltanto a eliminare fisicamente Mussolini, ma anche a infliggere un
completo scacco al regime, compiendo un "colpo di Stato" uguale e
contrario a quello della Marcia su Roma dell’ottobre 1922.
Proprio dalla Capitale, sarebbe dovuta partire quell’ondata di
"defascistizzazione" di cui l’assassinio del capo avrebbe dovuto
significare il punto di avvio. I finanziatori di un tale progetto si
trovavano tutti all’estero. In Francia e Gran Bretagna, molta parte
della classe di governo, nel 1924, era interessata a contrastare il
fascismo che stava diventando internazionalmente troppo forte e
cominciava a essere percepito come una minaccia agli assetti consolidati
e agli equilibri determinati dall’egemonia franco-britannica nel mondo.
La massoneria internazionale e le èlite governative straniere avevano
perciò operato per fornire al "fronte antifascista" quella unitarietà
poi espressa, sul suolo francese, dalla "Concentrazione antifascista".
Da soli, gli oppositori interni di Mussolini non avrebbero mai potuto
avere la forza nemmeno di tramare nell’ombra contro il nascente regime.
Con l’aiuto straniero, invece, essi poterono agire, in modo eterodiretto,
quasi sempre ispirati da moventi di tipo non esclusivamente ideale e
accompagnati da propositi non esattamente in linea con la limpida e
trasparente promozione di un interesse nazionale. |
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Alla luce di tutto ciò, appare evidente che la cosiddetta vocazione
autoritaria del fascismo non deve essere fatta discendere da principi
generali e astratti, che si suppongono essere patrimonio del movimento,
ma va interpretata piuttosto come il risultato di un’esperienza storica
concreta. Fu lo scontro tra soggettività contrapposte a generare il
regime, al di là di qualunque lettura tesa a "oggettivare" il movimento
mussoliniano come portatore di una pura carica "antisistema".
L’esame approfondito degli accadimenti successivi all’esito elettorale
del 6 aprile 1924 contribuisce a mettere in discussione lo schema
interpretativo classico tendente a descrivere e qualificare l’esperienza
storica del fascismo in senso univoco come il procedere inesorabile di
una forza distruttiva della libertà. Questa teoria ha il torto di
astrarre dalla realtà il nucleo delle sue ineliminabili contraddizioni.
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