LeIl governo italiano e
per esso il ministro Tremonti stanno lavorando alla soluzione del
problema del debito nazionale: svendere l'Italia, tutto compreso, alla
Cina. Proprio così.
La stampa internazionale informa che il ministero dell'economia ha
chiesto espressamente alla Cina di comprare, per il tramite del fondo
sovrano "China Investment Corporation" (CIC), titoli di stato italiani
che fanno fatica a trovare compratori nonostante l'impennata dei tassi
d'interesse al livello pre-euro del 6 per cento.
Comprare titoli di stato di una nazione equivale a comprare un pezzo del
medesimo paese. Dunque l'Italia è in vendita senza che gli italiani
abbiano affidato alcun mandato specifico ad un'agenzia specializzata.
Se il tentativo gli riesce, il Ministro Tremonti fa un'operazione di
alta ingegneria finanziaria e di impatto mediatico assicurato.
Gli italiani, però, si ritroverebbero le loro case (chi la possiede o ne
possiede più di una) ipotecate a favore del drago cinese.
Ovviamente la Cina in questa operazione non reciterebbe la parte del
cattivo, per il semplice fatto di essere stata pregata di "intervenire
per il bene degli italiani".
Il governo italiano al momento farebbe una bella figura, salverebbe
tutte le poltrone e, cosa non secondaria, non affonderebbe nuovamente,
ripetutamente le mani nelle tasche degli italiani. Con questa
iniziativa, per come sono fatti gli italiani, la maggioranza di governo
in carica potrebbe anche vincere le prossime elezioni.
Qualcuno chiederà: ma chi pagherà gli interessi ad alto rendimento sui
titoli gentilmente offerti al fondo sovrano cinese? Lascio la risposta
alle persone dotate di sensibilità e giudizio.
Con uno sforzo di fantasia cerco di immaginare chi potrebbe governare
l'Italia fra 10-15 anni. Di questo passo vedremo un mandarino cinese a
Roma o Venezia (i cinesi avevano un debole per la città lagunare) che
guiderà la laboriosa colonia italiana.
I nostri figli non pagherebbero tasse locali e nazionali sulle
abitazioni, al massimo un affitto perpetuo. Il patrimonio immobiliare
italiano con tutto il resto nel frattempo passerebbe in proprietà e
gestione ai cinesi, a suo tempo sottoscrittori di titoli di stato
italiani, non onorati alle naturali scadenze.
Questa, però, è pura fantasia: le cose sicuramente andranno diversamente
visto che gli italiani (sbadati ma intelligenti e sensibili quando
pungolati)reagiscono e danno il meglio di se nei momenti di massima
difficoltà.
In alcuni articoli di stampa si fa riferimento all'interesse dei cinesi
per la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina.
L'informazione appare priva di costrutto per il semplice fatto che
quest'opera non sarà mai realizzata, per negative valutazioni
economico-finanziarie, per la fortissima sismicità della zona, per la
tecnologia allo stato inadatta a coprire 3.200 metri di ampiezza dello
stretto, per lo stravolgimento dell'assetto del territorio, per la
concomitante esistenza di sistemi avanzati di trasporto (aerei e
traghetti veloci) che rendono non più economica la realizzazione di un
ponte su due campate portanti di altezza inverosimile.
I cinesi piuttosto, da quello che si legge, hanno interesse a stabilire
un quartier generale in una zona portuale favorevole della Sicilia che
si aggiunga alla conquista già effettuata del porto del Pireo in Grecia,
affittato per trent'anni. In tal modo la Cina nel Mediterraneo sarebbe,
come suol dirsi, "a casa propria", con tutti i benefici e le
potenzialità che ne deriverebbero.
Non vedo la negatività in assoluto di attivare relazioni ed affari con
la Cina, molti economisti ed esperti di politica internazionale sono di
questo avviso.
Credo, però, che il dialogo dovrebbe avvenire tra Cina, Unione Europea
(ad una sola voce) e Stati Uniti, con supporto di Russia, India e
Brasile.
L'Italia è troppo piccola come dimensione e piena di problemi (di
conduzione politica e finanziari) per poter competere ed attivare
contatti diretti e vantaggiosi con il gigante cinese. La sproporzione
tra i due soggetti è evidente e peserebbe su qualunque tipo di approccio
negoziale.
Al contrario, un dialogo "tra grandi", quelli innanzi indicati, potrebbe
avvenire su basi paritetiche, con poteri di negoziazione e convincimento
di sicura, maggiore efficacia.
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