Cina e India,
con il loro dirompente sviluppo economico e le loro ambizioni politiche,
promettono di stravolgere gli equilibri geopolitici in Asia e di
rimettere in discussione l’ordine mondiale nato con la fine della
Guerra Fredda. Le due potenze emergenti, dopo decenni di difficili
rapporti, sono ora alla ricerca di un modus vivendi che permetta loro di
coesistere pacificamente e di tutelare i rispettivi interessi
I due giganti asiatici rappresentano
da soli il 40 per cento dell’intera popolazione mondiale e il loro
tasso di crescita annuale è tra i più alti al mondo: secondo un
recente studio della Deutsche Bank, entro il 2020, Cina e India saranno
rispettivamente, dopo gli Stati Uniti, la seconda e la terza economia al
mondo. Il PIL cinese potrebbe superare quello americano già entro la
metà di questo secolo. Il modo in cui Pechino e Nuova Delhi gestiranno
i loro rapporti avrà inevitabilmente un impatto decisivo sulla stabilità
e la pace in Asia e nel mondo intero. I due paesi devono però lasciarsi
alle spalle mezzo secolo di contrasti: gli ultimi segnali, sia sul
fronte economico che su quello politico, sembrano però incoraggianti.
L’entente cordiale sino-indiana
Nel 1998, in occasione del primo test nucleare indiano, le relazioni
sino-indiane toccarono uno dei punti più bassi dopo la guerra del 1962.
Nuova Delhi motivò gli esperimenti con la necessità di tutelarsi dalla
minaccia cinese e da quella pakistana: Pechino rispose agendo nelle sedi
internazionali nel tentativo di isolare diplomaticamente l’India. Da
allora, le relazioni tra i due paesi non hanno più smesso di
migliorare. L’anno successivo, durante la crisi di Kargil che portò
India e Pakistan sull’orlo di una guerra, la Cina, nonostante le
pressioni di Islamabad, mantenne un atteggiamento di neutralità che
favorì il disinnescarsi della crisi. Oggi Pechino e Nuova Delhi, in una
sorta di “entente cordiale”, non si limitano solo a dispensare
sorrisi e strette di mano in occasione degli incontri al vertice (mai
così frequenti dal 1962) ma soprattutto annunciano di voler cooperare
in capitoli strategici come il settore energetico, il terrorismo
internazionale e il contrasto dell’unilateralismo americano.
La visita nello scorso aprile a Nuova Delhi del primo ministro cinese
Wen Jiabao, che ha ricambiato quella dell’allora suo omologo Vajpayee
nel 2003, sembra aver inaugurato una svolta nelle relazioni
sino-indiane. Nel comunicato stampa finale, i due paesi hanno indicato
le linee future delle loro relazioni: i due paesi, si legge nel
comunicato, sono legati da una “amichevole vicinanza, non rivalità”.
Al di là del fumoso linguaggio diplomatico, nei quattro giorni di
visita del capo dell’esecutivo cinese in India si sono registrati
passi in avanti reali sulla strada della pacificazione tra i due giganti
asiatici. In primo luogo, è stata concordata una sorta di “road map”
per porre fine alle dispute confinarie (per le quali i due paesi
combatterono una breve guerra nel 1962) che risalgono alla fine del
secondo dopoguerra: la strada imboccata sembra essere quella del
riconoscimento dello status quo attuale, con Pechino disposta a
riconoscere l’annessione indiana del Sikkim in cambio del
riconoscimento indiano della sovranità cinese sulla regione dell’Aksai
Chin. Wen Jiabao, inoltre, ha promesso l’appoggio cinese alla
richiesta indiana di un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite: un appoggio che potrebbe rivelarsi decisivo per le
ambizioni politiche indiane.
Sul piano economico, i due paesi si sono ripromessi di intensificare le
loro relazioni economiche. Negli ultimi anni, l’interscambio
commerciale tra India e Cina è cresciuto a un ritmo molto elevato: il
valore del commercio bilaterale è passato da 1.9 miliardi di dollari
del 2000 a 13.6 nel 2004; entro il 2020 si prevede che tale valore
raggiungerà i 30 miliardi di dollari. Il premier cinese è arrivato a
proporre la creazione di una zona di libero scambio tra i due paesi ma
la proposta è stata tiepidamente accolta dall’India: Nuova Delhi teme
infatti di essere sommersa dai manufatti cinesi. La struttura della
bilancia commerciale dei due paesi si presta a interessanti
considerazioni: la Cina, che importa dall’India soprattutto materie
prime e semilavorati, soffre di un deficit nei confronti di Nuova Delhi
che potrebbe tuttavia facilmente colmare se potesse rivendere i prodotti
ad alto valore aggiunto (prodotti elettronici e composti chimici) che
produce grazie alle importazioni indiane.
Il premier cinese si è in realtà spinto anche oltre: ha proposto alla
controparte una vera e propria partenership economica strategica che,
oltre all’abolizione della barriere tariffarie, dovrebbe includere una
più stretta cooperazione in campo tecnologico, l’intensificarsi degli
investimenti diretti e il coordinamento delle rispettive azioni in seno
alla WTO. Nonostante i timori di un’invasione di prodotti cinesi,
l’India potrebbe trarre interessanti benefici da una simile
prospettiva: l’industria del software indiano (nata con le riforme di
Rajiv Gandhi è oggi una delle più sviluppate al mondo) potrebbe
stringere un’alleanza strategica con l’industria cinese
dell’hardware (recentemente potenziatasi con l’acquisto del settore
PC della IBM da parte della Lenovo) tale da mettere in crisi il
“monopolio” americano; inoltre, l’apertura ai capitali cinesi
permetterebbe all’India di migliorare il settore delle infrastrutture
dei trasporti, attualmente il vero tallone d’Achille dell’economia
indiana.
Dal marzo del 2004 è all’opera un’apposita Commissione congiunta
con lo scopo di studiare nuove e più ampie forme di cooperazione
economica. Tra i vari progetti, particolarmente interessante è la cd.
“Kunming Initiative” che risale al 1999 quando India, Cina,
Balgladesh e Myanmar ipotizzarono la riapertura e l’ammodernamento
della Stilwell Road, una vecchia strada che collega la regione indiana
dell’Assam con lo Yunan cinese passando per il Myanmar. La sua
riapertura, ancora allo studio, potrebbe rappresentare uno straordinario
volano per il commercio sino-indiano.
La visita di Wen Jiabao in India è stata seguita, a un mese di
distanza, da quella, altrettanto storica, del generale Liang Guanglie,
capo dell’esercito cinese, che si è incontrato con il suo omologo
indiano e con il Ministro della Difesa di Nuova Delhi. Dopo
l’esercitazione navale congiunta nel 2003, i due paesi hanno ora
deciso di svolgere una più ampia esercitazione terrestre mirante ad
estendere la propria collaborazione nel campo della lotta al terrorismo
nonché ad accrescere la fiducia reciproca. |
|
Il futuro delle relazioni sino-indiane
La distensione nei rapporti sino-indiani porta a interrogarsi su quale
sia il futuro delle relazioni tra Cina e India. Un’attenta analisi
delle esigenze, degli interessi e degli obiettivi dei due paesi sembra
avallare l’idea che la “entente cordiale” sino-indiana sia
destinata a svilupparsi. I due paesi, per lo meno nel medio periodo,
potrebbero trarne notevoli benefici, sia sul piano economico sia
politico. In primo luogo, il settore energetico: l’impetuosa crescita
economica alimenta sia in Cina che in India una forte domanda di energia
che deve però fronteggiare la scarsezza delle risorse interne e gli
alti prezzi sul mercato mondiale. Al momento non sembra dunque
nell’interesse di nessuno dei due attori alimentare una pericolosa
competizione nell’accaparrarsi nuove fonti di energia: il solo effetto
che ne deriverebbe sarebbe quello di una decisa impennata dei prezzi
mondiali.La strada scelta è invece quella della collaborazione: anche
in questo senso va letto il progetto indiano di estendere alla Cina (via
Myanmar) il percorso del progettato gasdotto Iran-Pakistan-India.
In campo politico, i due paesi nutrono inevitabilmente forti
aspirazioni, alimentate dalla crescita economica e dalle dimensioni
demografiche. In questo senso, Pechino e Nuova Delhi vedono con
malcelato fastidio l’unilateralismo americano: una più stretta
collaborazione, specie nelle principali organizzazioni internazionali
(Nazioni Unite, WTO) permetterebbe ad entrambe di meglio difendere i
propri interessi. La nuova “entente cordiale” sino-indiana deve però
fare i conti con una serie di questioni scottanti quali le dispute
confinarie, l’alleanza sino-pakistana e l’appoggio indiano alla
causa tibetana. Senza voler peccare di eccessivo ottimismo, ci sembra
che si tratti di questioni addirittura “secondarie” rispetto agli
interessi in gioco e ai benefici derivanti da una possibile più stretta
cooperazione.
Nel medio periodo i due paesi non sembrano avere altra scelta se non
quella di cooperare. Cina e India sono oggi due paesi in rapido sviluppo
economico ma che abbisognano entrambi ancora di un periodo di tempo non
breve per consolidare la propria crescita e, più in generale, il loro
modello socio-economico. Scontrarsi, proprio laddove invece la
cooperazione faciliterebbe il lavoro di entrambi, non è negli interessi
di Pechino e Nuova Delhi. Ciò è vero nei rapporti bilaterali come in
quelli con gli altri attori internazionali. Il vertice di Vladivostok
– che, a inizio giugno, ha riunito i Ministri degli esteri di Russia,
Cina e India per la prima volta nella storia – ha portato la stampa
internazionale ha parlare della nascita di un asse tra i tre paesi,
prevalentemente in funzione anti-americana. C’è da dubitarne. I tre
paesi si sono sì espressi a favore della creazione di un mondo
multipolare – ma qualcosa del genere è di norma anche nei comunicati
finali dei vertici europei – ma è improbabile che, almeno in questa
fase, India e Cina possano o vogliano scontrarsi con gli Stati Uniti. E
i motivi sono sostanzialmente gli stessi che consigliano ai due giganti
asiatici di non ostacolarsi tra loro.
Pechino e Nuova Delhi hanno una lunga tradizione di pragmatismo e
flessibilità in politica estera: stabilità interna ed internazionale,
accesso alle immense fonti energetiche russe e al mercato dei
consumatori americano sono le priorità delle due capitali asiatiche. In
nome di questi obiettivi, Cina e India, come già durante la Guerra
Fredda, giocano di sponda con Washington e Mosca. Gli Stati Uniti non
hanno per il momento osteggiato il riavvicinamento sino-indiano ma, al
tempo stesso, sembrano intenzionati ad “arruolare” l’India in
quella che potrebbe sembrare una politica di contenimento della Cina.
Recentemente, il Presidente Bush ha dichiarato che uno degli obiettivi
del suo paese deve essere quello di “stabilire una più stretta
partnership strategica con l’India”. Il primo ministro indiano Singh
sarà a Washington il prossimo mese ma c’è da dubitare che l’India
rinuncerà facilmente alla sua tradizionale autonomia strategica.
Le cose potranno cambiare solo nel lungo periodo allorquando India e
Cina avranno consolidato la propria crescita. Quando quel giorno arriverà,
anche le relazioni sino-indiane potrebbero mutare: la cooperazione
potrebbe non essere più un imperativo e potrebbe lasciar spazio allo
scontro. In fin dei conti, in una prospettiva di lungo periodo, i due
paesi hanno gli stessi obiettivi: accesso alla leadership internazionale
ed egemonia in Asia. Ma l’Asia potrebbe rivelarsi troppo piccola per
due giganti. Le rispettive aree di influenza si sovrappongono:
l’attuale competizione navale tra i due paesi nelle acque dell’Asia
meridionale ci sembra una prova significativa al riguardo. Cina e India
stanno da anni lavorando per intensificare la propria presenza
nell’area: la Cina sta attualmente finanziando l’ampliamento del
porto pakistano di Gwadar nel Mar Arabico e intensificando la propria
collaborazione con Myanmar e Bangladesh: Nuova Delhi ha invece appena
lanciato un faraonico piano di ammodernamento dei propri porti che
prevede, tra le altre, cose la costruzione di una nuova base navale a
Karwar, nell’ovest del paese. La lotta per il predominio nella
regione, laddove dovesse accendersi, inevitabilmente coinvolgerebbe
anche gli USA e il Giappone col rischio di trasformare il sud-est
asiatico in una vera polveriera.
Conclusioni
L’ascesa di Cina e India quali nuove potenze economiche e politiche
comporterà inevitabilmente un ripensamento degli attuali equilibri
internazionali. È possibile immaginare che, proprio l’affermazione
delle due potenze asiatiche, aprirà una nuova fase nella storia delle
relazioni internazionali ponendo fine a quella dell’unipolarismo
americano, apertasi dopo la caduta dell’URSS.
***
|