Dopo
aver lasciato lo stato “in mutande” gli ex di Goldman Sachs guardano
al colosso energetico
Ora che un dirigente della Goldman Sachs
guida la Banca d’Italia e un consulente della Goldman Sachs si prepara
a guidare il governo delle sinistre vogliamo che lorsignori lo sappiano:
li teniamo d’occhio. Siamo noi, il popolo italiano, i loro datori di
lavoro: se li vedremo obbedire di nuovo a Goldman Sachs lo denunceremo
con tutti i mezzi.
Perché le loro passate azioni non ci lasciano tranquilli. Queste azioni
sono già state raccontate, ma vale la pena di metterle in luce più
chiara.
Tutto comincia nel settembre 1992, quando il finanziere
americo-ungaro-israeliano George Soros lancia un attacco speculativo
contro la lira. Carlo Azeglio Ciampi è capo di Bankitalia. La sola cosa
che dovrebbe fare sarebbe una telefonata alla Banca Centrale tedesca (Bundesbank),
la più potente d’Europa e chiedere: mi sostenete? Ossia: siete
disposti a spendere centinaia di milioni di dollari per acquistare lire,
sostenendo il corso della nostra moneta? Se quelli rispondevano di no,
ogni difesa era inutile, perché impossibile, dato che Soros usava
l’effetto-leva dei derivati: per ogni dollaro che puntava, era come ne
puntasse cento. Bankitalia, a quel punto, doveva fare solo una cosa:
lasciare fluttuare la lira ai venti della speculazione. Invece Ciampi
“difende” la lira da solo: dilapidando 48 miliardi di dollari in
valuta estera e prosciugando le riserve valutarie di Bankitalia.
E come previsto la manovra non riesce. La lira si svaluta del 30%. Ciò
significa che da quel momento, gli stranieri che vogliono acquistare le
industrie di stato e parastato italiane, potranno pagarle il 30% in
meno. La preparazione alle svendite era già avvenuta. Il panfilo
“Britannia” della regina d’Inghilterra era apparso davanti a
Civitavecchia (2 giugno 1992), per dettare le condizioni delle
privatizzazioni. Il “Britannia” era carico di finanzieri della City,
delegati dei Warburg, dei Baring, dei Barclays: costoro convocano sul
Britannia (ossia su suolo inglese) esponenti di spicco dell’Iri,
dell’Eni, dell’Agip, della Comit, di Assicurazioni Generali e, come
si sa, Mario Draghi, allora direttore del Tesoro, dipendente pubblico
italiano. Draghi scende prima che il “Britannia” prenda il largo
diventando suolo inglese ma ha il tempo di fare un discorsetto in cui
approva l’urgenza di privatizzare per sottrarre le industrie di Stato
alla politica. Fatto sta che, sceso Draghi, i finanzieri di Londra si
dividono, come al mercatino dell’usato, i gioielli dell’economia
italiana. E si profilano altri sconti.
Difatti, di lì a poco, sale al governo Giuliano Amato: anche lui un
coccolino dei “poteri forti” finanziari internazionali. Basta a
indicarlo il fatto che Amato, braccio destro di Bettino Craxi, viene
miracolosamente esentato dalla bufera di Tangentopoli. In quel
frangente, guarda caso, l’agenzia Moody’s - di punto in bianco, e
senza che sia accaduto nulla di nuovo - “declassa” l’Italia,
mettendola fra i paesi a rischio d’insolvenza.
Risultato: lo Stato deve pagare interessi più alti sui Buoni del
Tesoro, se vuole che qualcuno glieli compri. Lo Stato si dissangua; e
poiché subito Soros lancia la speculazione sulla lira, tutto peggiora.
È una manovra concertata fra Moody’s, Soros e i suoi banchieri di
riferimento (Rotschild)? Io penso di sì. Ricordo un fatto degno di
nota: fra i più accaniti speculatori contro la lira nella fase iniziale
dell’attacco di Soros, si segnalano Goldman Sachs e Warburg. Quei
Warburg che poi “consigliano” al governo italiano di rivolgersi a
Goldman Sachs per gestire le privatizzazioni.
E così l’alta finanza internazionale si sceglie i gioielli di stato,
con calma, soppesandoli come la massaia che compra i peperoni al
mercato. Perché costano poco: le privatizzazioni 93-94 renderanno allo
stato solo 26 mila miliardi; Ciampi da solo, nella sua inutile “difesa
della lira”, ha speso il doppio (denaro pubblico, di noi
contribuenti). Tutti ci commuoviamo quando il nonno d’Italia ci esorta
ad aver fiducia nella Patria. Chissà se ha sventolato il tricolore
anche nella riunione del Bilderberg del 22-25 aprile 1993, che si riunì
in Grecia e aveva il tema Italia all’ordine del giorno. Non lo
sappiamo perché la riunione, come sempre, fu a porte chiuse. Certe
fonti danno presente Ciampi a quella riunione, ma non ne siamo sicuri, e
non possiamo esserlo, data la segretezza che le circonda. Erano
presenti, si dice, anche Gianni Agnelli coi suoi fidi: Mario Monti,
Antonio Meccanico, Tommaso Padoa Schioppa, Renato Ruggero. Patrioti
anche loro. Ma di quale patria?
Il fatto è che, dopo quella riunione del Bilderberg, Ciampi fa una
mossa delle sue: “internazionalizza” il debito pubblico italiano,
fino a quel momento prevalentemente interno. È una scelta grave e non
necessaria. All’epoca gli italiani, coi loro risparmi, comprano
volentieri i Bot. Per lo Stato, è un vantaggio enorme: perché
s’indebita coi suoi cittadini (a cui può chiedere “sacrifici”,
ossia di pazientare a farsi pagare gli interessi) e nella sua moneta, la
lira, che può stampare a volontà. Invece, Ciampi offre i Bot sui
mercati finanziari esteri. Dove gli interessi dovrà pagarli in dollari,
ossia in una valuta su cui non ha il controllo e che non può stampare
quando vuole. Di fatto, mette il debito italiano nelle mani della grande
finanza - le solite Goldman Sachs, Warburg, Barclays - e alla mercè
delle “valutazioni” delle agenzie cosiddette “indipendenti” come
Moody’s. La mossa di Ciampi riduce l’Italia nella situazione di un
paese del terzo mondo; e senza alcuna necessità.
Ecco la storia passata. Per questo dico: teniamoli d’occhio, i
lorsignori che tornano al comando dell’Italia Questi vogliono ancora
svendere qualcosa. Che cosa? Alcune fonti ci dicono: l’Enel, ma
soprattutto l’Eni. S’intende, i due nostri relativi colossi sono già
stati privatizzati. Ma, soprattutto l’Eni, non fa ancora del tutto gli
interessi anglo-americani che nel settore dell’energia mirano ad
accaparrarsi la disponibilità diretta delle fonti petrolifere, e
mettere sotto controllo unico gli attori secondari nel gran mercato del
greggio e del gas.
L’hanno provato a fare con il petrolio russo: crollo organizzato del
rublo, deficit alle stelle, un Boris Eltsin ben felice di vendere le
vecchie imprese sovietiche a qualunque prezzo. Fu così che i Rotschild
prestarono a un piccolo avventuriero russo, Khodorkovski, i soldi per
comprare a prezzi da usato la Yukos. Ora che Vladimir Putin si è
ripreso la Yukos e fa una “propria” politica nazionale energetica
con la sua Gazprom, gli anglo-americani cercano in tutti i modi di
isolare la Russia. La presenza di aziende relativamente autonome come
l’Eni ostacola questo processo di soffocamento.
Occhio a lorsignori. Italiani di destra e di sinistra, di centro e di
sotto e di sopra: teniamoli d’occhio noi, perché non c’è nessun
altro che faccia gli interessi italiani.
[Data
pubblicazione: 14/01/2006] |